20 maggio 2012

Il Metantropo, o della benvenuta Apateporia

Ma perché usare la Sinestesi per spezzare la dinamica mutantroposnoblotica? Perché mai l'uomo dovrebbe sottoporsi a quest'arte che lo porta a un cambiamento così profondo?

Sì è detto che la suddetta dinamica è tipica di chi fa un percorso egotico, ma possiamo affermare che chi non lo fa sia esente da apateporie più o meno mutantrogeniche? Certo che no, perché nessuno è perfetto ed il cammino dell'uomo tende a procedere per amare esperienze: l'apateporia si presenta laddove il nostro sistema di valori è erroneo, come il fallimento si presenta laddove esso è mal applicato. Ma cosa fa l'uomo che agisce con la propria coscienza e senza perseguire (o almeno non in modo preponderante) un proprio vantaggio egoista, categoria definita Mutantropo Evolutivo o Eumutantropo? Dal momento che non persegue un proprio vantaggio, eviterà di innescare dinamiche osnoblotiche, bensì cercherà di mettersi in discussione e scovare in sé le cause di fallimenti ed apateporie, ovvero residui di egoismo o piccole meschinità connaturate col suo percorso di vita. L'antico testo didattico cinese I Ching definisce quest'operazione "emendare le cose guaste". Essa dà un insegnamento.

Come tutti gli insegnamenti, esso è interiore, cioè concerne lo stato di coscienza. Di questo si rende conto ben presto il mutantropo, attraverso un processo che si definisce apateporia del mutaforma, o del mutaspetto esteriore. Perché si muta la forma o l'aspetto esteriore? La maggior parte dei mutantropi lo fa per moda/conformismo, cioè per provare l'ebbrezza di un aspetto nuovo, i pochi rimanenti si dividono tra chi lo fa per ragioni pratiche, come il portatore di handicap che diviene cyborg, e chi a seguito di un cambiamento di stato di coscienza. Certamente il primo tipo, colui che cambia per noia o per gioco, quando non per amore di sè (egonanismo), è destinato ad incorrere in un'apateporia. Si renderà conto ben presto che il vero cambiamento è quello interiore, così come il vero mutantropo è interiore, e il cambiamento della forma esteriore è essenziale solo se conseguenza di un mutamento di stato di coscienza. Ma non tutti i "mutantropi interiori" sono nel giusto, perché un discorso simile si può fare anche per il mutamente controllore, ovvero osnoblotico, cioè colui che, anziché elevare lo stato di coscienza, potenzia la propria mente per controllare in modo disarmonico ed egotico l'ambiente.

L'apateporia è così benvenuta laddove essa permette un autoesame, ovvero quando il dolore che porta non è tanto insopportabile da dover richiedere pratiche anestetiche e la dinamica con cui essa s'è presentata è comprensibile, cioè interpretabile secondo lo stato di coscienza del soggetto. La presa di coscienza che ne segue sarà alla base del mutamento successivo, che a sua volta se esaminato con occhio sincero potrà apportare ulteriore coscienza.
Dal momento che l'apateporia può originarsi solo in seguito a disarmonia energetica quindi olistica con l'ambiente, cosmo, macrocosmo ed oltre, si può supporre che l'eumutantropo continuerà a mutare fino al raggiungimento di tale armonia. Sì, ma fino a che limite? Cioè, soddisfatti gli irrinunciabili bisogni primari, dove va l'uomo che muta innanzitutto interiormente? Supposto che il perseguimento dei propri egoismi lo degradi a stati subumani e disdicevoli, mentre il conformismo lo parcellizzi rendendolo pura quantità acritica (in modo quindi non meno subumano), a cosa porta il mantenimento costante e cosciente di atteggiamenti non egotici e autonomamente responsabili? O, detto in altri termini, a cosa conduce l'emanazione di Yin e Yang finalizzati a raffinare il Qi personale in armonia con l'ambiente?

Secondo noi l'epoca moderna non ha ancora una risposta a questa domanda. Il massimo ideale umano che riesce a proporre è quello del saggio benestante che muore circondato dai nipoti (ai quali magari lascia non poche sostanze). Bisogna andare indietro, ad epoche che avevano modelli di umanità diversi, capaci di vederla come stadio di un sistema più ampio e complesso.
Secondo le principali dottrine iniziatiche occidentali, ma la cosa curiosamente non cambia mutando epoca, parallelo o meridiano, quindi escluso solo l'occidente moderno, l'uomo può evolvere in due sensi: quello di Uomo Vero (o, secondo la definizione Sufi, al-Insan al-Qadim) e quello di Uomo Universale (Al-Insan al-Kamil). Il primo evolve in tutte le sue possibilità, tutte le potenzialità di questa sua forma. Il suo percorso è lungo l'asse orizzontale, sviluppando al massimo i talenti (secondo un linguaggio evangelico) del suo stato presente. Secondo noi chi si trova su questa strada può essere propriamente definito Eumutantropo, cioè finalizzato all'evoluzione della sua presenza nel mondo positiva e armonica. L'Alchimia classica lo definirebbe Iniziato ai Piccoli Misteri, o Arte Regale.

L'Uomo Universale invece, forse più un modello, un asintoto, che un vero essere umano, è colui che cerca di trascendere il proprio stato, ovviamente per stati superiori (su quelli inferiori s'è trattato già abbastanza). 
È l'Eumutantropo che, raggiunto il (suo) Centro, si muove sull'asse verticale, per un'ascesa finalizzata ad una dimensione altra. Sarà definito quindi Metantropo, un essere oltre l'uomo, alchemicamente un iniziato ai Grandi Misteri, o Arte Sacerdotale. Chiaramente la definizione di questa figura è compendio e limite epistemologico di tutta la Mutantropologia, che oltre non va.

Lungi da noi affermare che la Sinestesi porti ipso facto alla creazione di Metantropi o anche solo di Eumutantropi, sarebbe un'arrogante follia. Nondimeno essa smuove dinamiche apparentemente eterne, creando un'arte che si fa "ancella dell'Anima" quando è in grado di farla entrare in risonanza non già, come fa quella osnoblotica di oggi, con piaceri immediati e sensazioni forti, bensì con le ragioni più profonde della sua esistenza, con le domande eterne che si porta dentro. Quando non solo e non tanto accelera il processo apateporico smascherando le illusioni in cui vive l'uomo, ignobilmente imposte (osnoblosi) o vigliaccamente adottate (anestesia), ma arriva a prefigurare percorsi d'uscita e soluzioni già previste nella stessa costituzione animica, cioè nel suo scopo, stimolandola ad adottarle per presa di coscienza. Insomma non garantisce sul buon esito, ma almeno adotta un buon metodo, mette su una buona strada.

Poi, lo ripetiamo: ad ognuno la scelta del proprio mutantropo interiore!

4 commenti:

  1. Bella kuesta del mutantropo interiore, da dove l'avete tirata fuori? E perké solo adesso?

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  2. Caro HAHAHA,
    il mutantropo interiore, come tutto ciò che affermiamo in questo blog, lo "tiriamo fuori" dalla semplice osservazione della realtà.

    Non è la prima volta che ne parliamo. Ogni volta che citiamo lo stato di coscienza ci riferiamo alla capacità di cambiare interiormente.
    In particolare, nella risposta al commento di Esthetron al post La Matrice Mutantropica, abbiamo definito il "mutantropo umile" come apparentemente conformista e abbiamo distinto un conformista vero e proprio da uno che si mimetizza come tale, ma che interiormente è eumutantropo.

    Scrivici ancora, sperando che nel frattempo tu abbia voglia di aggiornare la lingua italiana...
    Ciao

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  3. Esiste un'altra forma di benvenuta apateporia, almeno per chi circonda il soggetto in questione. Quella batosta che porta un arrogante, sicuro e senza incertezze su ogni cazzata gli passi x il cervello, a diventare umile, sconfitto, prostrato. Il problema è che, passato il momentaccio, il tizio ritorna stolido e borioso come prima. Non ne esiste una a lunga gittata? ;-)

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  4. Caro ArteFatto,
    possiamo dirti che questa è una domanda che nel gruppo ci facciamo spesso...

    Hahahhaahhahaaaaaaa ;D

    Ciao ArteFatto, buona serata!

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