18 marzo 2012

Arte Sinestesica

Quale alternativa si propone oggi all’arte multimediale masturbatoria o alla cosiddetta arte sinestetica illusoria? Quale altra faccia della stessa medaglia può contrapporvisi esteticamente, epistemologicamente ed eticamente? E chi è in grado di crearla, all’infuori dell’artista egoico moderno?

Secondo noi è la Sinestèsi, estetica e poetica in grado di creare vere Sinestesopere. Queste devono essere forgiate da “veri” artisti, cioè mutantropi evolutivi che ragionano con la propria testa ma non secondo il proprio interesse. L’accento è posto sull’esperienza e relega l’artista, comunque sempre di alto livello, a un ruolo di secondo piano. L’artista c’è, è presente con la sua proposta, ma la sua personalità non è al centro dell’opera. L’opera stessa non ha un centro ben preciso, dando origine così, e finalmente, ad un’opera eccentrica. L’artista c’è e nel suo ambito, nel suo “senso”, è solo, ma deve collaborare con almeno un altro artista, o con almeno un altro senso e/o altro ambito. L’opera d’arte che ne ha origine è unica, imprevedibile ed irripetibile.

L’arte sinestetica, o più esattamente “arte a fini sinestetici”, nonostante gli illustri predecessori - dai poeti maledetti Baudelaire e Rimbaud, che dall’uso di droga vivevano esperienza sinestetiche, ai pittori visionari alla Kandinskij, sinestetico per malattia, dagli happening di Kaprow, sinestetici per collettivizzazione, al “teatro totale” del Living e di Grotowsky - presuppone un approccio assolutamente innovativo al fatto artistico, nell’intento di creare un’opera in grado di connettere ai tradizionali sensi fisici anche i sensi interiori che sono di diversa e variegata qualità in ognuno di noi. Ma è necessario andare oltre. Con l’arte multimediale siamo rimasti agli anni 60, a una sorta di “teatro totale” semplicemente riverniciato di tecnologia. Oggi è forse necessario “eticizzare” l’arte, ovvero darle un senso, una funzione che quando non è sociale (certi tempi e certe ambizioni hanno mostrato tutti i loro limiti) diventa soggettiva, interiore.

Non si possono cambiare le masse, questo sembra insegnarci la storia del XX secolo. Non si può neanche cambiare il singolo senza fargli il lavaggio del cervello, questo insegna la neuroscienza, ma una cosa si può tentare. Trasportare l’utente in un luogo che appartenga solo a lui stesso, nel momento in cui entra in contatto con un’opera d’arte: nel momento in cui il contatto avviene, l’opera si manifesta. Solo così si può tentare di risvegliare nuove potenzialità dell’animo umano, forse in parte ancora inespresse.

Ma com’è possibile? Chi si prende la responsabilità di un gesto simile? Chi può affermare con certezza “questo è il luogo della tua interiorità”? Di certo non l’artista egoico moderno, ma di sicuro nessun uomo in quanto tale è scevro dal sospetto di interesse. Per questo l’arte Sinestesica, per configurarsi come tale, insieme alla molteplicità degli artisti necessita di un altro criterio: l’impersonalità dell’opera, cioè della provocazione estetica. Che non sarà più un’invenzione dell’artista, bensì il chiaro riferimento ad un aspetto eterno dell’animo umano. Quali sono? Quelle che Platone chiamava idee immutabili e Jung chiamava archetipi, simboli eterni, universali presenti nell’inconscio collettivo. Anche il meme può appartenere a questa categoria, perché essa comprende i segni culturali, sebbene alcuni lo neghino e non senza argomenti. Spesso i meme sono i marchi culturali che ogni epoca ha attribuito agli archetipi. Altri invece sono nati per svolgere funzioni osnoblotiche (essendo anche l'osnoblosi in fondo un archetipo), o tramite queste sono fioriti. Intuitivamente sono i meno adatti alla Sinestesopera. L’invenzione dell’artista, o del provocatore estetico creatore dell’opera, semmai, sarà la modalità con cui questa si riferirà all’archetipo, il quale dev’essere rispettato nella sua purezza e non piegato a logiche o ideologie alcune. 

Lo spettatore sarà così isolato per un attimo dal fragore del mondo, dal collasso dei significanti, e portato in un’oasi di calma. E non sarà solo: ci sarà qualcuno con cui dovrà mettersi in rapporto. È quel “se stesso” che salta fuori solo in certi momenti, che aiutato dall’esperienza sinestetica sarà in grado di comunicare il proprio messaggio.

L’arte è tale se provoca le categorie estetiche della propria epoca, ma quale provocazione può essere maggiore dell’esplorazione di nuove forme insite nell’uomo? Inediti sensi sopiti da millenni, che forse in passato, chissà, erano ben diversamente attivi, sensi così incredibilmente importanti, così drammaticamente fondamentali nello sviluppo di quell’unico sistema così straordinariamente complesso che chiamiamo uomo, di cui forse abbiamo perso la memoria ma di cui conserviamo la coscienza.

Solo la sinestèsi permette all’uomo il vero vissuto formativo, quello che la neuroscienza indica registrarsi profondamente nell’ipotalamo. La ricerca dell’esperienza totale, ultimativa, che risvegli sensi e potenzialità nascoste da eoni, che dia finalmente un senso compiuto all’indecifrabile complessità del reale.

5 commenti:

  1. Cosa pensate di un "imbroglione sacro" come Alejandro Jodorowsky? Si potrebbe considerare la sua psicomagia, in quanto tentativo di dare all'arte una dimensione terapeutica, di "guarigione" e non meramente estetica, una sinestesopera?

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    1. Cara Rosa, grazie per la tua interessantissima domanda, ma prima di risponderti vorremmo sottolineare una cosa. L'intenzione di questo blog è totalmente estetologica, cioè non di critica d'arte. Allo stato di coscienza di ognuno applicare alle arti che maggiormente apprezza ogni interpretazione.

      Possiamo però aggiungere che il buon Jodorowsky nella sua lunga carriera abbia alternato periodi esaltanti (i primi film, il ciclo dell'Incal, certo teatro) ad altri più deludenti, come del resto capita quasi a tutti. Ma la sua psicomagia non può essere certamente una Sinestesopera. Dal nostro punto di vista, se proprio dobbiamo forzare l'interpretazione, si tratta al più di una poetica e non di un'opera formalmente detta.

      Non vorremmo ripeterci nel ricordarti che "nessun uomo in quanto tale è scevro dal sospetto di interesse", a maggior ragione se, come il buon Alejandro è solito fare, assume tipiche espressioni concupiscenti nell'interpretare i tarocchi a giovani e apparentemente sprovvedute donzelle (cfr video Youtube "la psicomagia di Jodorowsky, da "niente è come sembra"").

      Come già scritto, condizioni dell'Arte Sinestesica, fondamento estetico d'ogni Sinestesopera, sono la presenza di più di un artista e l'impiego di un archetipo non piegato ad interessi personali.

      Nondimeno è innegabile che la ricerca intellettuale di Jodorowsky sia una delle più vicine alle nostre teorizzazioni. Per questo abbiamo risposto volentieri e per questo ti ringraziamo ancora. Ciao!

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  2. E se il "vissuto formativo" si rivelasse quello sbagliato? E chi distingue il "vero artista" da quello falso? E se il "mutantropo evolutivo" si rivela un artista mediocre? Non c'è troppo deterministico ottimismo nelle vostre parole?

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    1. Caro Anonimo, pensiamo che le tue parole siano dettate da un malinteso di fondo: cercare la soluzione definitiva ai problemi del mondo e ci spiace doverti deludere, ma noi proponiamo solo una poetica che speriamo contribuisca a risolvere almeno una parte dei problemi dell'arte. Contemporanea certo, visto che fra un numero sufficiente d'anni la nostra proposta sarà ovviamente obsoleta. Non funzionerà? il mondo andrà avanti lo stesso e senza subire gran danni, o di certo minori di quelli provocati da certe parti politiche, propagandiste e manipolatorie.

      Non troveremo Mutantropi evolutivi (o li troveremo finti)? Poco grave anche questo: "La personalità dell'artista non è al centro dell’opera. L’opera stessa non ha un centro ben preciso", inoltre deve collaborare con altri artisti, che magari compensano, no? Certo, dispiacerebbe vedere una Sinestesopera deturpata dall'inettitudine di un mediocre, ma da quando in qua una poetica si fa garante del risultato di un'opera? Come e in che modo può interamente sostituirsi al talento?

      In realtà è sul "vissuto formativo" che ci sentiamo di scommettere più d'ogni altra cosa, un vissuto non affidato a un uomo ma alla forza simbolica che è in grado di unire a stati superiori dell'archetipo. L'esperienza che nasce, per quanto non escludiamo che in un ristretto numero di casi possa essere lì per lì dolorosa o sgradevole, avrà sempre risvolti profondi e appunto formativi. Noi li chiamiamo mutantrogenici anche perchè il contrario etimologico della parola simbolus, ciò che unisce, è diabolus, ciò che divide.

      Grazie mille per la tua domanda e a presto! :)

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    2. Ah-nonimo, e calmati! E se fosse la tua percezione del reale ad essere deterministica e ottimista? :D

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